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Mingo di Striscia la Notizia condannato, truffa per l’ex inviato

Mingo di Striscia la Notizia condannato, truffa per l’ex inviato


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Il Tribunale di Bari ha condannato a 1 anno e 2 mesi di reclusione Domenico De Pasquale, in arte Mingo, e Corinna Martino, amministratore unico della Mec Produzioni Srl di cui il marito Mingo era socio, per i reati di truffa, falso e diffamazione. Secondo l’accusa l’ex inviato barese di Striscia la Notizia avrebbe truffato Mediaset con la complicità della moglie, facendosi pagare alcuni servizi relativi a fatti inventati ma spacciati per veri e facendosi anche rimborsare costi non dovuti per figuranti e attori. Gli imputati sono stati ritenuti responsabili di quattro truffe relative ad altrettanti falsi servizi realizzati per il Tg satirico, andati in onda tra il 2012 e il 2013.

Striscia la Notizia accusata da Mingo sui falsi servizi

Il Tribunale ha riconosciuto la prescrizione per altri tre episodi e per altrettante ipotizzate truffe e una contestazione di calunnia ha assolto gli imputati perché il fatto non sussiste, Mingo però è stato condannato anche per aver diffamato, nel 2015, gli autori di Striscia la Notizia, accusandoli di essere gli ideatori dei falsi servizi. Per questo dovrà risarcire Mediaset, Antonio Ricci e altri nove tra autori e produttori della trasmissione, tutti costituitisi parti civili nel processo. Infine i verbali delle dichiarazioni rilasciate durante il processo sono state trasmesse alla Procura per verificare il reato di falsa testimonianza.

Mingo non ci sta e attraverso i suoi avvocati Francesco Maria Colonna Venisti e Ludovica Lorusso fa sapere: «Sono stati prodotti documenti a sostegno della tesi difensiva che si immagina siano stati valutati dal giudice per raggiungere i risultati assolutori del dispositivo. A questo proposito, i nostri assistiti sottolineano di aver dimostrato la loro estraneità ai fatti a loro ascritti, raggiungendo la formula assolutoria per i fatti più gravi». Viene insomma sottolineata l’assoluzione da altri episodi di truffa e da un’accusa di calunnia, glissando sulla pena di 14 mesi di reclusione per truffa, falso e diffamazione. «Le sentenze non si discutono – concludono i legali di Mingo e della moglie -: se non si condividono, si impugnano. Per farlo, è necessario attendere studiare le motivazioni che sostengono il provvedimento. Questa difesa non ha voluto e non vuole che il processo venga svolto in luoghi non deputati».