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L’imprenditore di Palermo e il suo no alla Mafia

L’imprenditore di Palermo e il suo no alla Mafia


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«Quando si presentano nei miei cantieri e chiedono ai miei operai di parlare con il titolare io vado all’appuntamento pronto per filmare l’incontro. Mi porto dietro la lista dei tanti uomini per bene uccisi dalla mafia e l’immagine di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino». Questa è la storia di Giuseppe Piraino, 45 anni, scuole al Gonzaga (l’istituto privato gestito dai gesuiti), sposato, tre figli, è uno dei 13 imprenditori palermitani che si sono ribellati al racket denunciando ai carabinieri le richieste di pizzo. Una rivoluzione per la Sicilia, dove ancora in tanti continuano a pagare in silenzio.

Come si presenta la Mafia

«Prima si sono presentati in due che mettevano paura solo a guardarli – racconta Piraino -. Hanno chiesto chiaramente la “messa a posto” e hanno invitato a preparare i soldi. Poi per riscuotere si è presentato una persona anziana che poteva essere mio nonno. Una persona mite che mi ha chiesto 500 euro, poi visto la mia reazione ha iniziato a dire che era un contributo per la festa rionale. Ho risposto che questo si chiamava pizzo e gli ho mostrato la foto dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, dicendo che si doveva vergognare. Poi sono andato dritto dai carabinieri».

Il video in cui l’imprenditore coraggio incalza il suo estorsore con le foto dei due magistrati uccisi dalla mafia è diventata ben presto virale sui social. Salvatore Guarino, il “nonno” come lo definisce Piraino, si mostra in difficoltà di fronte alla reazione del suo interlocutore e cerca di giustificarsi battendo in ritirata. Non basterà a evitargli le manette. Anche lui è tra le persone che sono state fermate dai carabinieri nel corso dell’operazione che ha portato in carcere 20 tra boss e gregari del rione Borgo Vecchio. «In questa città una decisione così coraggiosa non è facile da prendere – spiega Piraino -. Le altre 12 denunce arrivate in un colpo con la mia solo sono un segnale davvero importante. Non si deve sottovalutare la portata di questa notizia».

Piraino racconta che da quando è iniziato a circolare il suo nome come imprenditore antiracket è stato tirato per la giacchetta. «Mi hanno cercato politici ed esponenti dell’antimafia, ma io non mi presto a farmi strumentalizzare – rivela -. Accanto a me voglio solo i carabinieri del nucleo investigativo che mi sono stati vicini in questa decisione sofferta e che per me restano degli angeli. La cosa incredibile è che dopo le mie denunce sono venuti di nuovo a chiedere il pizzo. Appena apri un cantiere o monti una gru cominciano a bazzicare intorno per capire chi è il titolare. Poco dopo arriva puntuale la richiesta che è a tappeto per ogni attività».

Piraino non ha un servizio di tutela e non lo vuole. «Non voglio la scorta – spiega l’imprenditore -, la vita è mia e resta mia. Ho chiesto solo una cosa al prefetto di Palermo. Ho il porto d’armi per uso sportivo. Vorrei il porto d’armi per uso personale. Mi è stato detto no per ben due volte. Vediamo se adesso riesco ad ottenerlo».