Errore, nessun ID annuncio impostato! Controlla la tua sintassi! Afrodite Cnidia: cosa sapere sulla Venere di Cnido | SubitoNews

Afrodite Cnidia, l’opera (ormai perduta) di Prassitele

Afrodite Cnidia, l’opera (ormai perduta) di Prassitele


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La civiltà greca è stata una delle più floride ed evolute dell’antichità; l’eredità ellenista ha influenzato numerosi campi del sapere moderno, incluso quello delle arti plastiche. La scultura greca, in particolare, ha rappresentato un modello di riferimento non solo per i Romani ma anche per gli artisti di epoche successive. Ciò è accaduto nonostante alcune opere celeberrime siano irrimediabilmente perdute; tra queste vi è senza dubbio la Afrodite Cnidia.

Breve storia dell’Afrodite Cnidia

La storia dell’Afrodite Cnidia affonda le radici nel tardo periodo classico. La versione originale dell’opera, infatti, venne realizzata da Prassitele, uno dei maggiori maestri della scultura greca, attorno al 360 a.C. Viene chiamata “cnidia” perché la statua venne originariamente commissionata dagli abitanti di Cnido, un’antica città dell’Anatolia (l’attuale Turchia) che sorgeva lungo le coste meridionali della penisola, non lontano da Rodi. L’Afrodite era destinata ad essere collocata all’interno del naos, ossia la cella interna, del tempio che gli abitanti di Cnido avevano eretto in onore di Afrodite Euplea. La statua originale andò perduta definitivamente quasi otto secoli più tardi, nel 475 d.C., quando un incendio distrusse la residenza del funzionario bizantino Lauso che era entrato in possesso dell’opera e l’aveva inclusa nella propria collezione privata di opere d’arte. Ciò nonostante, la scultura di Prassitele aveva raggiunto una notevole notorietà in tutto il mondo antico, tanto da ispirare numerose repliche – alcune più riuscite di altre – collocabili perlopiù durante l’epoca romana. La copia ritenuta più fedele all’originale è la cosiddetta ‘Venere Colonna’, attualmente conservata presso il Museo Pio-Clementino, il maggior complesso espositivo dei Musei Vaticani. La statua deve l’appellativo ‘Colonna’ al fatto di essere stata regalata da Filippo Colonna a Papa Pio VI° nel 1783. Altre versioni degne di nota sono la ‘Farnese’, esposta al Museo Archeologico di Napoli e la ‘Ludovisi’, conservata presso i Musei Capitolini. Tale erano la bellezza ed il fascino della statua di Afrodite scolpita da Prassitele che, secondo quanto scritto da Plinio il Vecchio nella Historia Naturalis, in molti avevano raggiunto Cnido in nave soltanto per ammirarla.

Venere di Cnido: caratteristiche

L’Afrodite Cnidia di Prassitele può essere descritta solo in maniera generica, dal momento che non è possibile disporre dell’opera originale. Ad ogni modo, grazie alle numerose repliche di epoca romana ed alle tante descrizioni della statua originale che sono pervenute fino ai giorni nostri, è possibile desumere alcune delle caratteristiche che, presumibilmente, erano proprie dell’opera di Prassitele. Si sa per certo che si trattasse di una scultura realizzata in marmo, alta circa due metri. Probabilmente, la Venere di Cnido originale rappresentò anche il primo esempio di nudo femminile della scultura greca.

L’opera raffigura Afrodite, la dea greca della bellezza e dell’amore, in procinto di immergersi in acqua per un bagno rituale, mediante il quale ripristinare la propria purezza. La statua raffigurava, probabilmente, il momento in cui la divinità, già completamente svestita, viene sorpresa e, in un istinto di pudicizia, afferra le vesti che aveva appena tolto e deposte su un’idria decorata per rivestirsi, mentre copre il pube con la mano destra. In alternativa, l’opera potrebbe essere la raffigurazione plastica del momento precedente, ossia quello in cui la dea si è completamente denudata ed appoggia il proprio vestiario sull’anfora, un attimo prima di essere sorpresa. La versione ‘Farnese’, in effetti, è caratterizzata da un generoso drappeggio a coprire quasi completamente la gamba destra, come se la dea non fosse ancora svestita del tutto nel momento in cui la sua attenzione viene catturata da qualcosa di esterno. A tal proposito, è possibile che la testa dell’opera originale fosse rivolta marcatamente verso sinistra, come avviene per la Venere Colonna, anziché essere quasi completamente centrata come nella versione ‘Farnese’. Secondo Luciano di Samosata, l’Afrodite di Cnido “indossava un leggero sorriso che rivelava appena i suoi denti”; questa caratteristica, però, non è presente in alcuna delle copie sopravvissute fino ai giorni nostri. È possibile che Prassitele abbia preso a modello la cortigiana Mnesàrete (nota anche come Frine), famosa per la sua avvenenza, per realizzare la propria opera.

Analisi dell’opera e stile

La mancanza di prove materiali rende l’analisi dell’opera di Prassitele ancor più complessa della semplice descrizione. Dato il periodo in cui si colloca l’attività dello scultore, è possibile ipotizzare che la statua originale fosse caratterizzata dall’equilibrio formale tipico della scultura greca. Il corpo della dea era rappresentato in maniera sobria ed elegante, rispettando i canoni di equilibrio e proporzione che, nelle arti plastiche dell’antica Grecia, erano sinonimo di perfezione. Per quanto concerne la postura, è ipotizzabile che la statua di Prassitele rispettasse, anche solo in parte, il cosiddetto “Canone di Policleto”, un modello molto diffuso nella statuaria greca, grazie al quale era possibile realizzare statue perfettamente equilibrate (grazie al rispetto di determinate proporzioni tra le singole parti e l’intera opera) che trasmettessero, al contempo, una certa dinamicità. Ragion per cui, è possibile immaginare l’Afrodite Cnidia leggermente piegata sul lato sinistro, intenta ad afferrare un drappeggio (per posarlo o per riprenderlo), mentre con l’altra mano copre il pube. Per imprimere maggiore dinamismo alla scena, Prassitele potrebbe aver scolpito la gamba destra leggermente più in avanti di quella sinistra mentre la torsione del volto verso sinistra, oltre a stabilire una certa simmetria, permette all’osservatore di intuire la presenza di un estraneo che ha disturbato le abluzioni della divinità.